La Chimica che permette il riciclo dei materiali plastici

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In una recente pubblicazione, apparsa su "Science", Miriam Scoti, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Napoli Federico II, in collaborazione con il gruppo del professor Eugene Chen della Colorado State University, ha presentato un nuovo approccio di sintesi chimica che consente di produrre polimeri completamente riciclabili e biodegradabili dalla struttura molecolare progettata per indurre ottime proprietà meccaniche e di processabilità dal fuso, come le più comuni poliolefine.

L'attuale economia dei polimeri è per lo più lineare e produce rifiuti", spiega la dottoressa Scoti. Le proprietà di resistenza meccanica e durabilità che rendono i materiali plastici così utili durante il loro ciclo di vita funzionale sono anche seri inconvenienti alla fine del ciclo di vita, poiché questi materiali sono per la maggior parte inviati in discarica o rilasciati nell'ambiente. Solo una piccola frazione dei rifiuti plastici è raccolta per il riciclo (14%), e di questa frazione la maggior parte è per lo più reindirizzata per applicazioni di valore inferiore (riciclo meccanico, 8%) o persa durante la lavorazione (4%). Solo il 2% di tutta la plastica raccolta è riutilizzata per applicazioni di qualità simile a quella originale (riciclo primario).

Un'economia circolare ecologica della plastica richiede materie plastiche rinnovabili e riciclabili come alternative ai polimeri non degradabili derivati da combustibili fossili che attualmente dominano i mercati. La grande sfida per la chimica dei polimeri è sviluppare materiali che possano essere riciclati in modo efficiente direttamente nei propri materiali di partenza, ovvero il riciclo chimico ai monomeri per realizzare un'economia dei polimeri circolare. I monomeri riottenuti possono essere ripolimerizzati per produrre nuovamente polimeri che mantengano le stesse proprietà dei polimeri riciclati.

 

Questo approccio alla sostenibilità nell'economia dei polimeri ha guidato la progettazione di una nuova struttura molecolare di poli(idrossialcanoati), descritta nell'articolo pubblicato sulla rivista Science, che consente di conciliare requisiti, spesso inconciliabili, di riciclabilità dei polimeri e di buone proprietà meccaniche e di processabilità che ne permettano utilizzi ed applicazioni pratiche.

I Poli(idrossialcanoati) (PHA) sono una classe di poliesteri scoperta quasi un secolo fa, ma che solo recentemente ha risvegliato un grande interesse industriale ed accademico grazie alla loro rinnovabilità, biocompatibilità e degradabilità. I PHA, infatti, sono biosintetizzati in natura da microrganismi e possono anche essere sintetizzati in laboratorio mediante reazioni di polimerizzazione catalitica con il vantaggio di poter generare PHA dalla struttura molecolare diversificata controllando massa molecolare, microstruttura, reattività e proprietà funzionali, cose ancora non realizzabili dai batteri. Tuttavia, sia i PHA biosintetizzati da microorganismi sia quelli ottenuti da sintesi chimica presentano ancora grossi limiti in termini di proprietà fisiche che ne limitano le applicazioni e ne impediscono ancora la loro diffusione industriale. Infatti, i PHA convenzionali presentano proprietà meccaniche di estrema fragilità e bassa tenacità, sono instabili termicamente, e, quindi, non lavorabili allo stato fuso, caratteristica principale di tutti i polimeri termoplastici. Infine, i PHA sono biodegradabili ma non riciclabili chimicamente ai monomeri di partenza, il che implica comunque possibili problemi connessi al loro accumulo nell'ambiente come rifiuti, e una perdita in termini di energia e risorse utilizzate nel processo di produzione che non vengono più recuperate.

 

Le scadenti proprietà fisiche e la instabilità termica dei PHA sono dovuti alla struttura molecolare e alla presenza di idrogeni vicini al gruppo carbonilico che promuovono ad alte temperature una reazione di degradazione che porta alla formazione disottoprodotti a bassa massa molecolare, provocando così una forte diminuzione della viscosità del fuso nelle condizioni usuali di processo. Nel lavoro pubblicato su Science viene descritta la sintesi mediante opportuni catalizzatori organici di nuovi PHA dalla struttura molecolare modificata eliminando gli atomi di idrogeno responsabili della degradazione termica e sostituendoli con gruppi alchilici. La dottoressa Scoti spiega che questa semplice sostituzione rende il polimero stabile alle alte temperature e processabile nel fuso.

I nuovi PHA modificati sono stati ottenuti sia attraverso policondensazione dell'acido 3-idrossi-2,2-dimetilbutirrico, a sua volta ottenibile dal glucosio, sia attraverso polimerizzazione ad apertura di anello del lattone ottenuto dallo stesso idrossiacido, utilizzando in entrambi i casi condizioni blande e catalizzatori organici disponibili in commercio. Inoltre, questi polimeri, sia che vengano sintetizzati tramite policondensazione che da polimerizzazione ad apertura di anello, trattati con basi di diversa forza ad alte temperature si depolimerizzano facilmente all'idrossiacido o al lattone di partenza. Questo approccio, quindi, fa uso di monomeri rinnovabili che possono poi essere facilmente riottenuti mediante riciclo chimico e ripolimerizzati in un circolo virtuoso ed ecologico.

 

Le migliori proprietà termiche e meccaniche osservate in questi nuovi PHA sono in gran parte dovute alla capacità di cristallizzare anche in assenza di una perfetta stereoreoregolarità. La dottoressa Scoti ha infatti studiato la cristallizzazione e la struttura cristallina di questi nuovi polimeri spiegando le ragioni della loro capacità di cristallizzare, e quindi delle buone proprietà fisiche, indipendentemente dalla regolarità nella struttura molecolare

Questo è uno dei rari esempi di polimeri che cristallizzano indipendentemente dalla regolarità nella successione della configurazione delle unità chirali lungo la catena e fornisce una strategia di grande valore per la sintesi di PHA ad alte prestazioni senza richiedere l'utilizzo di catalizzatori stereoselettivi appositamente progettati. Lo studio della struttura cristallina, da cui dipendono le proprietà, è stato condotto, spiega ancora la dottoressa Scoti, combinando tecniche di diffrazione di raggi X e metodi computazionali basati sulla Teoria del Funzionale della Densità (DFT). Questo studio ha permesso di trovare le possibili conformazioni che le macromolecole isotattiche e atattiche assumono nello stato cristallino e di spiegare la caratteristica di questi materiali di cristallizzare anche in assenza di regolarità nella configurazione. Questo tipo di cristallizzazione, indipendente dal grado di disordine strutturale, permette di regolare le proprietà termiche, che dipendono dalla stereoregolarità, senza compromettere la resistenza meccanica, che invece dipende dalla cristallinità. I polimeri stereoregolari presentano infatti una temperatura di fusione più alta dei polimeri stereoirregolari ma entrambi mostrano una buona resistenza meccanica.

 

I risultati di questo lavoro, conclude la dottoressa Scoti, rappresentano un notevole passo avanti nella produzione di PHA rinnovabili e riciclabili verso la sostenibilità avanzata e la circolarità dei polimeri e può avere profonde implicazioni nella futura progettazione della nuova generazione di plastiche industriali.